Gli epitaffi alla cultura
9 Novembre 2018
Gioia infinita
11 Gennaio 2019
Gli epitaffi alla cultura
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Dalla odierna Celano, guardando a nord verso la Serra, si vede una verde pineta, una volta luogo di querce e faggete, e  sede dell’antica dimora dei Conti dei Marsi, i Berardi originari della Borgogna..

Quel nido di falco imprendibile arroccato fra le balze a strapiombo, doveva aver più di una volta reso felice i Conti Celanesi,  per la  piacevolezza di guardare dall’alto del loro dominio, i possedimenti, e per la serenità di abitare in un simile luogo.

I Conti dei Marsi erano consapevoli, , ed in special modo  Pietro da Celano, che il punto era strategico, posto com’era fra le due rive marinare nella dorsale appenninica, ad un passo dalla campagna di Puglia e dalla Terra di lavoro. Ben lo sapeva il Conte Pietro, leone e volpe, ben lo sapeva di  formare uno Stato cuscinetto fra il Reame Normanno-Siculo e le terre dell’Italia  Settentrionale, uno Stato forte a confine con l’ormai ricco Stato di San Pietro.

Pietro, cognato dei Conti di Manoppello Gualtieri (Vescovo di Troia  poi Arcivescovo di Palermo e Cancelliere del Regno di Sicilia), Manerio e Gentile, stabilisce dei vincoli matrimoniali  concedendo la mano di una delle figlie a Rinaldo D’Anversa di Abruzzo, quella di un’altra a Giovanni Conte di Ceccano, e ,più tardi ,  quella della terza figlia al figlio di Diepoldo di Vohburg. Per il proprio figlio Tommaso scelse invece Giuditta, erede del Conte di Molise.(Successivamente scopriremo da miei recenti studi, che Tommaso non era il figlio di Pietro ma bensì il fratello di Papa Innocenzo III succeduto alla stirpe dei Berardi dopo l’allontanamento accordato da Federico II al Papa per fare insediare il fratello della stirpe dei Conti di Segni)

Dopo varie vicissitudini, tra le quali  anche quella di cadere prigioniero di Gualtieri di Brienne, campione di Innocenzo III, la sua posizione si rafforza grazie all’accordo con il Cancelliere Gualtieri, Arcivescovo di Palermo, e il Pontefice.

Il Conte di Celano  già Conte di Molise, cerca di espandere i  suoi territori invadendo la Marca D’Ancona e il  Ducato di Spoleto intorno al 1209,  suscitando,  anche per l’alleanza con Ottone IV di Brunswick , l’ira del giovane Federico II.  “ Thomae Comiti Celanensi et Molisiiac nobili mulieri comitissae uxori suae et Reinaldo nato eius (cifr. Jamison,loc.cit.p.102,nota 5).

Torniamo adesso alla nostra Celano; all’interno della città fortificata sul monte Tino vivevano, intorno  al 1200,  circa 2000 persone (molte per l’epoca). Nella metà del 1100 era stata edificata la torre sul Telle,  escrescenza rocciosa, che, come un baluardo  sull’antico Borgo,  si specchiava sulle acque del Fucino.

Da tale Torre partivano due muraglioni che scendevano in modo piramidale verso il piano con torrette rompitratta a spuntone,  fino alla sorgente dei SS. Martiri,

presso la quale esisteva la chiesa di San Giovanni Caput Aquae (ora Madonna delle Grazie). A quel tempo all’interno del centro fortificato esistevano altre due chiese: una dedicata a San Bartolomeo e l’altra a Sant’Agata.

L’antico culto di Sant’Agata è confermato dall’esistenza della Vrotta Sant’Agata (Grotta di Sant’Agata) , un’insenatura a mò di grotta posta appena sopra lo sperone roccioso dove esisteva l’antica torre, il cui nome è stato tramandato per tradizione orale per ben 790 anni, fino ai nostri giorni. Eppure l’amata Santa sembra essere stata dimenticata dopo la distruzione dell’antica Celano; infatti non esistono chiese od opere dedicate a Lei nella Celano riedificata dopo il ritorno dei deportati Celanesi, né tantomeno ci sono culti a Lei dedicati nelle chiese odierne. A mio parere i Celanesi non l’hanno affatto dimenticata, ma semplicemente non potettero tornare per continuare quel culto qui a Celano, ma hanno continuato a mantenerlo vivo a Malta e ci sono le prove evidenziare un un altro mio articolo.

(Grotta Sant’Agata)

Tornando alle date storiche, San Giovanni Caput Aquae (Madonna delle Grazie), venne fatta costruire nella metà dell’XI secolo da Pandolfo  presso i resti di una precedente chiesa. L’entrata della chiesa non era quella attuale, ma era rivolta al Borgo, proprio di fronte la porta principale di esso, ed era a quadriportico.

Anche se parte dell’antico abside è andato distrutto, molte parti sono rimaste integre ed esistono numerosi pezzi unici, fra i quali uno degli stemmi più antichi dei Berardi.

San Giovanni Caput Aquae, custodiva  le reliquie dei santi Martiri, in un’urna marmorea fatta fare appositamente da Pandolfo, ed il famoso Exultet, rotolo liturgico datato 1057 e decorato nello scriptorium di Montecassino.

Grazie alla nostra noncuranza siamo stati spogliati anche di questo gioiello; infatti, uno tra i migliori rotoli pergamenacei al mondo, è attualmente conosciuto come l’Exultet di Avezzano  ed è custodito nella Diocesi di quest’ultima.

Ahdimenticavo, all’epoca Avezzano  non c’era e Pandolfo lo fece realizzare per tenerlo alla sua Chiesa e cioè San Giovanni Caput Acquae.

Il Conte di Celano Tommaso, aveva un territorio che dall’altopiano delle rocche si estendeva fino al Matese. “Diversamente da Pietro, egli guardava piuttosto  all’aspetto vertebrale dell’appennino per un controllo soprattutto militare” (Prof. Colapietra) .

In quel tempo l’Imperatore Federico II volle riformare il Regno di Sicilia per eliminare tutti quei piccoli stati e piccoli regni, fra i quali anche quelli ecclesiastici molto potenti, che non avrebbero facilitato il suo lavoro di unificazione.

Il Conte di Celano non prese  molto benevolmente l’ascesa al potere di Federico II e, già nel 1221, lo scontro fu inevitabile.

(Rocca di San Potito)

Il Conte Tommaso fortificò le rocche di San Potito della Serra e di Ovindoli e si rifugiò  con la moglie presso Roccamandolfi vicino a Bojano.

(ROCCAMANDOLFI)

Federico II si rese subito conto che il consolidamento del suo potere poteva passare soltanto attraverso l’eliminazione della sacca di resistenza costituita dalla contea di Celano. Egli eliminò la giurisdizione criminale dei conti, recuperò le fortezze di Terra di Lavoro, che dominavano le strade dirette verso il Sud  a Capua e Napoli, e rivolse il suo interesse a quella regione che, posta ai confini con lo Stato della Chiesa e dominata dai ribelli conti di Celano, costituiva la spina nel fianco del Regno.

A Celano, sul monte Tino, sulla sommità della Serra, v’era inoltre il caposaldo difensivo dei conti dei Marsi, costituito dalla rocca, fortificazione per positura geografica quasi imprendibile.

Boiano, Roccamandolfi, Serra di Celano costituirono dunque un intreccio difensivo di tutto rilievo.

Come prima azione l’Imperatore fece porre l’assedio alla rocca di Boiano della quale

(Rocca di Bojano)

s’impossessò venendo a patti con i difensori. Si volse quindi a Roccamandolfi e ne assediò la roccaforte, predisponendo nel frattempo l’assedio di Celano.

Una parte di Celano si arrese all’imperatore Federico, ma gli altri fedelissimi del Conte Tommaso si chiusero nella Torre e diedero prova di valore ed eroismo. “Celanum Imperatori se reddidit, quibusdam in turri Caelani ei in Obinulo se ad fidelitatem Comitis Molisii recipientibus, propter quod Caelanenses imperatoris gentem in suum succursum vocantcum qua turrim ipsa maggrediens viriliter vi eam capere nequiverunt” (Riccardi Chronica). – E NESSUNO RIUSCI AD ENTRARVI (eam capere nequiverunt).

Appena venuto a conoscenza del contemporaneo assedio della rocca di Celano, Tommaso  uscì nottetempo da Roccamandolfi, per vie impervie entrò nella rocca assediata e, piombando con i suoi sull’abitato di Celano, attaccò sul far dell’alba gli imperiali e li mise in fuga. Ormai molta parte del territorio marsicano era sotto il suo controllo. Tommaso punì i traditori , saccheggiò la sede Vescovile di Marruvium ed incendiò Paterno.

La rocca di Roccamandolfi resistette ancora, mentre Celano si consolidò contro gli imperiali.

Il caso di Tommaso  divenne per Federico  sempre più preoccupante, in quanto unico neo  in un contesto di crescente favore verso lo Svevo. Già prima della sortita dalla rocca di Roccamandolfi Federico II, che si era incontrato a Veroli con il papa Onorio III, aveva dato ordine al Giustiziere  Enrico di Morra di assediare più strettamente la rocca. Quest’ultimo prospettò a Giuditta la possibilità di un’onorevole resa in cambio della salvezza per sé e per i suoi. Ella accettò e Roccamandolfi con la sua rocca fu quindi assicurata all’imperatore, che la distrusse.

Un primo importante caposaldo del Conte  Tommaso dunque cadde. Ormai la resistenza si sfaldava. Lo stesso Federico, tornando nel Regno dal colloquio avuto con i cardinali e con il re di Gerusalemme a Ferentino, si recò personalmente a Celano per la via di Sora. L’imperatore non aveva mai preso parte personalmente alle campagne militari che si erano svolte ai confini settentrionali del Regno.

L’eccezione sta forse a dimostrare quanto gli stesse a cuore la riduzione della riottosità di Tommaso. Non solo, ma curò anche la parte diplomatica della campagna. È fù proprio Federico, personalmente, ad ordinare di far condurre a Celano la moglie di Tommaso, Giuditta, e il figlio, rimasti a Roccamandolfi dopo la capitolazione. Federico fece parlare la contessa con il marito al fine di farlo recedere dalla linea di resistenza. L’incontro si risolse con un nulla di fatto. L’imperatore si allontanò da Celano, non senza aver prima ordinato di dare in custodia la moglie e il figlio al Giustiziere Enrico Di Morra , ordinandogli  inoltre di fortificare il colle di S.Flaviano. Appena ritornato in Puglia, Federico venne a sapere della richiesta di resa di Tommaso, grazie alla mediazione di papa Onorio III.

Il Conte Tommaso dovette cedere e si siglò l’accordo. I termini dell’accordo furono i seguenti: 1) il Conte Tommaso si impegnava a consegnare Celano e Ovindoli; 2) Federico si impegnava ad assicurare a Tommaso il possesso delle armi, dei bagagli e di tutte le genti che avessero voluto seguirlo; 3) alla contessa sarebbe stato riservato il solo possesso della contea del Molise. Tommaso andò quindi in esilio a Roma.

Cessò dunque il dominio feudale prima della famiglia dei Berardi e poi dei Celano con Tommaso nella Marsica, e Celano subì una violenta distruzione.

 

(Nella foto, centinaia di giovani Celanesi trasportano la grande croce sul Monte Tino, a ricordo della distruzione di Celano per opera di Federico II e la nascita di Fra Tommaso)

A tal riguardo un  Nostro illustre Celanese, Augusto Cantelmi nella sua opera ( E là da Tagliacozzo dove senz’armi vinse il vecchio Alardo a pag. 34), scrive che lui stesso insieme a centinaia di giovani Celanesi, nel 1934 eressero un grande Croce del peso di circa 8 quintali a suggellare in eterno il martirio di un popolo.)

Ai celanesi venne ingiunto di uscire dalle proprie case con le masserizie e di costruire all’interno di un recinto le loro abitazioni precarie.

Appena i celanesi furono usciti, l’abitato venne distrutto e incendiato, rimanendo in piedi la sola chiesa di S. Giovanni Caput Aquae. Celano mutò anche il nome, chiamandosi da allora in poi Cesarea perché rea di non essersi arresa a Cesare.

Si fortificò nuovamente la Serra sopra Celano e gli abitanti che erano stati confinati nel recinto vennero deportati in Sicilia e successivamente a Malta:

Henricus de Morra jussu Imperiali Caelanenses revocat ubique dispersos, ut ad propria redeant, et redentescapit, et Siciliam mittit, quo sapud Maltam dirigit imperator“;

Malta, crocevia di popoli e culture, luogo di esilio e passaggio di navigatori e fuggiaschi. Ulisse ne subì il richiamo di Calypso, San Paolo vi naufragò e ne diffuse la parola di Cristo, Caravaggio ne trovò rifugio momentaneo dalla sua fuga da Roma.

Per i Celanesi deportati, l’isola diventa una prigione.

La Capitale di Malta era all’epoca Medina. Il porto Grande di Malta fu il luogo dove approdarono i Celanesi. I Celanesi furono portati lì, nel Castro fortificato,  come se fosse un campo di concentramento Latino in mezzo alla stragrande maggioranza dell’isola che era Musulmana e Giudea. Colpisce la supplica inviata ad Innocenzo IV da Marino Baccone, figlio di un deportato Celanese, che spiegava le tormentate condizioni a cui erano costretti gli esuli: “mio padre Andrea Baccone di Celano, per la sua devozione verso la chiesa romana fu catturato dai sostenitori di Federico, e visse rinchiuso in carcere a Malta per lungo tempo. Finché in quel luogo dopo molteplici tormenti è spirato”.  Questa è la verità: i Celanesi a Malta non erano semplici profughi, ma veri e propri carcerati. E’ difficile  immaginare che i Celanesi abbiano potuto godere di una vita normale, libera, in una terra quasi completamente musulmana, diversa ed ostile. In ogni caso proprio in quel periodo Federico, come per la Sicilia, adotta una politica di epurazione araba, favorendo l’espansione della cristianizzazione.

Una parte della storiografia locale Maltese, invece, considera la deportazione dei Celanesi  come l’inizio dell’inesorabile processo di cristianizzazione dell’isola.

(Hal- Millieri Qrendi e Zurrieq chiesa dell’Annunciazione)

Infatti, proprio in quel periodo coincidono le migliaia di conversioni al cristianesimo e di espulsioni dei musulmani. Si ritiene che essi si siano sistemati nei  pressi della cappella dell’annunciazione ad Hal- Millieri.

Il luogo anticamente si chiamava Milleri, probabilmente con riferimento a “Mille Rei”, i presunti colpevoli Celanesi. Gli affreschi del 1500 della Cappella sono stati realizzati sul modello di affreschi del 1200, forse opera di un esule Celanese.

La testimonianza dell’introduzione di lingua celanese  sarebbe testimoniata da alcune parole fra le quali la “ONNELLA” o Gonnella, intesa come una veste che copriva il capo, che la storiografia locale racconta  fosse  un mantello lungo  di colore nero che copriva il capo, con le quali si vestivano le donne celanesi in segno di lutto e dispiacere  per gli accadimenti in terra natia.

All’inizio del 1800 la deportazione dei Celanesi del 1200 sarà al centro di un grande dibattito sulle origini anglosassoni della cultura Maltese e quelli che al contrario sosterranno le sue origini latine. La realtà medioevale di Malta era spiccatamente latina proprio per Celano. Infatti nel 1800 a Malta esisteva una contesa fra i sostenitori delle origini della lingua inglese ed i sostenitori della lingua italiana. Il ceto medio alto a Malta era educato in lingua italiana ed era molto importante per loro trovare dei fatti storici che rinforzassero la Latinità Maltese. Per loro sarebbe stato tragico dire che la popolazione Maltese si era convertita dall’Islam e dare importanza alla lingua maltese come dialetto Arabo. Adesso si ha una prospettiva totalmente diversa sul medioevo maltese perché il popolo celanese è considerato come la scintilla che ha acceso il fuoco della cristianità e della latinità a Malta, togliendola dalle origini arabe.

Nel Luglio del 1227 Federico II concede ai Celanesi di tornare in patria, grazie all’intercessione di Onorio III ma solo a quelli che fossero rimasti in Sicilia. Ma in Sicilia sappiamo per certo che non c’era nessuno di Celano, perchè non dimentichiamo che erano stati deportati per una meta ed un fine precisi, ossia ripopolare l’isola di Malta di persone di fede Cristiana.

Mense  lulio Coelanenses omnes, qui captivi in Sicilia tenebantur, liberi dimittuntur Imperatore mandante” (Riccardi Chronica).

Successivamente a queste “orrende” vicende, con il passare degli anni e con il ritorno dei Conti di Celano, rispettando il patto stipulato con Federico II, si cominciò a riedificare, ma sul Colle di S. Flaviano dove fu costruita la nuova chiesa di S. Giovanni Battista, con la conseguente perdita d’importanza della vecchia chiesa di S. Giovanni caput aquae, unica costruzione risparmiata.

Nel 1229 Tommaso interviene in favore del Papa che si scontrava con il potere di Federico II, ma questa alleanza, tentativo di ritornare agli antichi albori da parte del Conte di Celano, fallisce e comincia l’oblio per il casato del Conte Tommaso riacquistato poi alla fine del 1200 con il Conte Ruggero Berardi.

Due figure segnano la storia di Celano, portano lo stesso nome, Tommaso conte di Celano e Tommaso Frate, per acclamazione di popolo “Beato”.

Tommaso nasce a Celano intorno al 1190, sicuramente da una nobile famiglia, in quanto uomo di cultura e di lettere. L’ingresso nella Fraternità avviene fra il 1215 e il 1216 e si inserisce fra quella schiera di Frati letterati e nobili.

Vengono scelti 30 frati per la Germania ed indubbiamente Tommaso è il più erudito e colto fra loro, tant’è che diventerà in seguito Responsabile della circoscrizione  dei Frati Germanici.

Nel 1227 il Frate Celanese torna in Italia e, sicuramente, saputo della distruzione effettuata da Federico II di Svevia, fa ritorno al suo paese d’origine. Con la distruzione di Celano e la morte di San Francesco, Tommaso si sente quasi annullare l’esistenza  ed in attimi di sconforto compone le DIES IRAE… “Giorno d’ira sarà quel giorno, dissolverà il mondo in cenere, come attestano Davide e la Sibilla. Giorno di lacrime sarà quello, dal quale risorgerà dalla cenere l’uomo colpevole per essere giudicato…omissis….”

Il Dies Irae è pieno di citazioni sacre, esso è una sequenza di 18 strofe, sostanzialmente diviso in due parti: la prima formata da sei strofe e tocca la severità del giudizio divino; la seconda parte di dodici strofe, ed è una domanda di misericordia a colui che è venuto a redimerci dai peccati. Il finale è una preghiera che si distacca da tutte le strofe ed è formata da quattro versi. Solo 5 di migliaia di liturgie composte nel medio evo entreranno a far parte perennemente della liturgia della chiesa romana, fra queste il Dies Irae di Tommaso da Celano. Tommaso da Celano in questo requiem è intervenuto anche nella musica, quindi non solo come poeta e scrittore, ma anche come compositore. (Prof. Walter Tortoreto Docente storia della musica dell’Università dell’Aquila).

Il Dies Irae oltre ad una impostazione  di melodia di canto Gregoriano, ha anche avuto un successo in quella polifonica. Oltre alla prima impostazione di Antoine Brumel (c. 1460 – 1512 or 1513), il numero di requiem conteneti il DiesIrae, è sterminato.

Celebri musicisti hanno musicato il testo di questo inno nelle loro messe di requiem: degno di nota, ad esempio, è il Dies Irae di Mozart, ma anche quello di Giuseppe Verdi. Spesso la terza strofa del Dies Irae costituisce un brano a parte detto Tuba mirum. Altri esempi di Dies Irae si trovano in:

Berlioz, Hector: Grande Messe desMorts, Op. 5

Carta, Maria: DiesIrae in lingua sarda (1974)

Biber, Heinrich Ignaz Franz: Requiem a 15 in la maggiore (1687?)

Britten, Benjamin: War Requiem (1962)

Cherubini, Luigi: Requiem

De Victoria, Tomás Luis: Requiem (1605)

Donizetti, Gaetano: Requiem

Dvořák, Antonín: Requiem

Henze, Hans Werner: Requiem

Mozart, Wolfgang Amadeus: Requiem in re minore KV 626

Pizzetti, Ildebrando: Assassinio nella cattedrale, opera lirica. Prima: Milano, Teatro alla Scala, 1º marzo 1958

Preisner, Zbigniew: Requiem for my friend

Reger, Max: Lateinisches Requiem (Fragmento, 1914)

Verdi, Giuseppe: Requiem (1874)

Maderna, Bruno: Requiem (1946)

Jenkins, Karl: Requiem (2005).

Gabriel Fauré, seguendo la consuetudine del rito gallicano, come molti compositori francesi, non ha incluso il Diesirae nel suo Requiem.

Berlioz, Hector: in SymphonieFantastique, 5º movimento – Songe d’une nuit de sabbat (1830);

Franz Liszt: in Totentanz, danza macabra per pianoforte e orchestra (1834), intera pièce;

Charles Henri Valentin Alkan: in Souvenirs: Troismorceauxdans le genre pathétique op. 15, n°3 – Morte (1837);

Franz Liszt: in Mefisto valzer (1859);

SergejRachmaninov: L’Isola dei Morti, poema sinfonico, (1908);

SergejRachmaninov: Rapsodia su un tema di Paganini (1934);

SergejRachmaninov: Danze Sinfoniche, 3° movimento (1940);

Ottorino Respighi: Impressioni brasiliane – Butantan (1928);

Ildebrando Pizzetti: Assassinio nella cattedrale, 2° atto (1958);

Karl Jenkins in “Requiem” (2005).

in altri settori musicali:

Rendine, Sergio: Poema Mediterraneo

Branduardi, Angelo: colonna sonora per la pièce teatrale per marionette: “Il viaggio incantato” (1989, teatro delle marionette dei Podrecca, Trieste)

Alan Menken e Stephen Schwartz: colonna sonora del film Il gobbo di Notre Dame (1996);

I CCCP Fedeli alla linea, gruppo punk italiano degli anni ’80, hanno cantato alcuni spezzoni di DiesIrae in versione live reperibile nel CD Live in Punkow del 1996.

Formula 3: rivisitazione in chiave rock progressive, prima traccia del disco omonimo (“DiesIrae”, 1970, Numero Uno);

Wendy Carlos e Rachel Elkind: The Shining Main Title (1980, LP dellacolonnasonora del film Shining);

Jacques Ibert: colonna sonora del film Golgotha (1935)

Jerry Goldsmith: colonna sonora del film La macchia della paura (The MephistoWaltz, 1971);

Basil Poledouris: colonna sonora del film Conan il barbaro (1982), brano “The Awakening”;

Jerry Goldsmith: colonna sonora del film Poltergeist – Demoniache presenze (1982), brano “Escape from Suburbia”;

Elliot Goldenthal: colonna sonora del film Demolition Man (1993);

Melvins: Nude with Boots (Traccia 4. dell’album del 2008)

Mago De Oz, nel disco Gaia III, lo inseriscono dopo il pezzo di apertura.

Epica: in The Classical Conspiracy – Live in Miskolc, Hungary, album dal vivo registrato durante il Miskolc Opera Festival in Ungheria il 14 giugno 2008.

Therion: in The Miskolc Experience, registrazione del concerto tenutosi a Miskolc (Ungheria) il 16 giugno 2007.

Symphony X: Prelude, dall’album V-The New Mythology Suite.

Dark Moor: Dies Irae (Amadeus), dall’album The Gates of Oblivion

Nel 1229 Tommaso termina “La vita prima di San Francesco”, nel 1230 Tommaso si trova ad Assisi per la traslazione della salma nella chiesa di Assisi. Contrario alle politiche idilliache della nuova amministrazione Francescana,  diverse dalle impostazione date  del Santo di Assisi, Tommaso, memore della distruzione di Celano, non gradisce il ruolo di complicità deciso da Frate Elia, a comando dei Francescani, con Federico II responsabile della distruzione di Celano.

A circa vent’anni dalla vita prima, viene affidata al Celanese la scrittura di una vita seconda.

Nonostante l’ordine impartito fosse quello di parlare soprattutto dei miracoli di Francesco, mettendo in risalto solo l’aspetto più spettacolare del Frate di Assisi, Tommaso, invece, si sofferma soprattutto sulle regole impartite nei doveri di carità umiltà e povertà. Le forti pressioni del nuovo ministro generale Giovanni da Parma gli fanno redigere un terzo scritto, quello del Trattato dei Miracoli. Probabilmente sono anche sue altre scritture come la biografia  di Santa Chiara e altre due sequenze:  Il Sanctitatis nova signae e Fregit victor virtualis

Fra Tommaso sopravvissuto a Federico II, a San Francesco ed al Conte Tommaso, muore nel 1260 in Val de Varri nel monastero delle clarisse, dove si era ritirato penso forzatamente a trascorrere gli ultimi anni della sua vita. Vero e proprio Confino come i suoi concittadini qualche anno prima.

Verso la fine del 1400 le Clarisse abbandonano il monastero dove erano conservate le sue spoglie. Nel 1500 gli abitanti di Scansano, dove esiste la frazione di Val di Varri, decidono di traslare la salma in un posto più sicuro. Intuendo questa mossa un gruppo di Frati del convento di Tagliacozzo, con un’incursione notturna, riescono a trafugare il corpo di Tommaso e lo portano nel loro Convento a Tagliacozzo.

Nonostante il monito di Papa Leone X ne intimasse la restituzione, pena la scomunica, le spoglie tormentate del Frate Celanese rimasero lì senza essere restituite. Tutti i frati leggono le biografie scritte da Tommaso da Celano tra il 1229 ed il 1263. Il ministro generale dell’ordine Bonaventura, viene incaricato di scrivere una nuova leggenda da leggersi al posto di quella di Tommaso.  Approvata nel capitolo del 1263, successivamente nel capitolo del 1266,  viene data disposizione perentoria che vengano distrutte tutte le precedenti biografie su Francesco d’Assisi, quindi il capitolo descrive che chiunque viene a sapere dell’esistenza di copie scritte da Tommaso da Celano, deve riuscire a sottrarle con astuzia e a distruggerle.

Dice Tommaso:

Le mie preghiere non sono degne;

ma tu, buon Dio, con benignità fa’

che io non sia arso dal fuoco eterno

Preces meae non sunt dignae,

sed tu bonus fac benigne,

ne perenni cremerigne 

Tommaso, sembra far risuonare in un sospiro, in un gemito, la sua voce, che balbettò fra le cinta dei nativi monti le prime parole. Li sul Tino  sotto la Torre della Contea dove brilla di notte una croce. 

Tommaso dimostra tutta la sua indignazione verso i superiori e verso l’ingannevole menzogna di una parte del clero, scrivendo: 

 “Abbondiamo più di pseudo infermi che di combattenti, mentre, pur essi nati per il lavoro, dovrebbero stimare la propria vita come un combattimento. Non vogliono progredire con le opere, e con la contemplazione non possono… E ancor di più mi stupisco, secondo la parola del Beato Francesco,della loro impudenza, giacchè, mentre non sarebbero vissuti in casa loro se non del loro sudore, ora senza fatica vogliono vivere del sudore dei poveri…. Conoscono le ore al pasto,e se la fame li stimola, accusano il sole di aver dormito. E dovrei, buon Padre, giudicare degne della tua gloria le brutte azioni di questi uomini? Ma neanche della tua Tonaca!” (vita II 162).     Un TOMMASO rivoluzionario e realista moderno, ed attuale.

Celano viene ricordato 2 volte nei racconti di Tommaso;  una quando Francesco si trova a Celano e regala un panno  alla vecchietta, l’altro ricordo é la predizione della morte del cavaliere di Celano.

CAPITOLO LIII

REGALA IL MANTELLO AD UNA VECCHIERELLA PRESSO CELANO

  1. Un inverno a Celano Francesco portava addosso, avvolto come un mantello, un panno che gli aveva prestato un amico dei frati di Tivoli.

( San Francesco dona il mantello alla vecchietta)

Mentre alloggiava nel palazzo del vescovo dei Marsi, s’imbatté in una vecchierella, che chiedeva l’elemosina. Slacciò subito il pezzo di stoffa dal collo e, quantunque appartenesse ad altri, lo donò alla povera vecchierella, dicendo: «Va’, fatti un vestito, ché ne hai veramente bisogno». La vecchietta, piena di stupore, – non so se per timore o per la grande gioia – prende dalle sue mani il panno e si allontana il più velocemente che può, lo taglia subito con le forbici per evitare che, ritardando, abbia a doverlo restituire. Ma, visto che il pezzo di stoffa una volta tagliato, non basta a confezionare un vestito, fatta coraggiosa dalla benevolenza sperimentata poco prima, ritorna dal Santo e gli espone come la stoffa è insufficiente. Questi allora si rivolge al compagno, che ne ha indosso altrettanto, e gli dice: «Senti, fratello, quello che dice questa vecchierella? Sopportiamo il freddo per amore di Dio e dona a questa poveretta il tuo panno perché possa terminare il suo vestito». Come l’aveva dato lui, lo donò anche il compagno ed ambedue rimasero spogli, per rivestire la vecchietta.

San Francesco e Tommaso a Celano nella Corte del Cavaliere)

XVI scena: Morte del cavaliere di Celano (Legenda maior XI,4)

1191 4. In un’altra circostanza, ritornato dai paesi d’oltremare, si stava recando a Celano per predicare e fu invitato a pranzo, con umile e devota insistenza da un cavaliere. Egli, dunque, andò alla casa del cavaliere accolto con grande gioia da tutta la famiglia, lieta per la venuta di quegli ospiti poverelli.

Prima di prendere cibo, l’uomo a Dio devoto, secondo la sua abitudine, offrì a Dio le preghiere di lode, stando con gli occhi rivolti al cielo. Finita la preghiera, chiamò familiarmente in disparte il buon ospite e così gli disse: “Ecco, fratello ospite: vinto dalle tue preghiere, io son venuto a mangiare nella tua casa. Ora affrettati a seguire i miei ammonimenti, perché tu non mangerai qui, ma altrove. Confessa subito i tuoi peccati, con vera contrizione e pentimento: non nascondere nulla dentro di te; rivela tutto con una confessione sincera. Tu hai accolto con tanta devozione i suoi poveri e oggi il Signore te ne darà il contraccambio”.

Acconsentì subito, quell’uomo, alle parole del Santo e manifestò al compagno di lui in confessione tutti quanti i peccati; mise ordine alle sue cose e si preparò meglio che poté ad accogliere la morte.

Entrarono, infine, nella sala da pranzo e, mentre gli altri incominciavano a mangiare, l’ospite improvvisamente esalò l’anima, colpito da morte repentina, secondo la parola dell’uomo di Dio.

E così, come dice la Verità, colui che aveva accolto il profeta con misericordiosa ospitalità,  meritò di ricevere la mercede del profeta. Difatti, per la profezia del Santo, quel cavaliere devoto provvide a se stesso e, premunito con le armi della penitenza contro la morte improvvisa, sfuggì alla dannazione eterna e fu accolto negli eterni tabernacoli.

( le scene di queste due storie sono state dipinte da Giotto e si trovano nella Basilica di Assisi).

 

Un altro personaggio di Celano scriveva di quel luogo.

Pietro Antonio Corsignani (Celano, 1686 – Celano, 1751) è stato un vescovo cattolico e storico italiano.

Fu vescovo di Venosa e noto storico della cittadina castellana e di tutta la Marsica. Il suo amore per la terra natia lo portò in alcuni casi anche ad inventare antiche iscrizioni e personaggi per poter giustificare i suoi ragionamenti.

Il vescovo fece parte anche dell’Accademia dell’Arcadia e nella sua amata Celano fondò l’Accademia Velina.

Nella sua opera Reggia Marsicana, descrive altri luoghi dove secondo lui sono stati deportati i Celanesi. Ebbene sì, esiste un fiume chiamato fiume Celano. io ci sono stato ed ho visto quei posti. Parliamo di Rossano in Calabria. Il  Corsignani dice che: “ gran danno patirono i celanesi, parte dei quali già si disse che furono condotti in Sicilia, ed alcuni altri andarono prigionieri in Calabria, dove un fiume, oggi detto Celano, vicino Rossano, da Nostrali ebbe il nome, del quale Fiume ne parla Barrio Francicani nella sua Opera dell’antichità e sito della Calabria, che ora in Roma si ristampa corretta ed accresciuta dal sig. Tommaso Aceti, Letterato fornito di varia erudizione”. ( omississ…) .

Non manca nemmeno la creatività nel raccontare alcune cose che erano nell’antica Città di Celano, esistite a parer suo.

Infatti in un passo della reggia Marsicana Parte I pag. 471, racconta che nell’antica Celano esistesse un famoso palazzo abitato da        “ una bellissima Dama consorte di un Conte, dove si erge una scala finissima, in cui se qualunque pazzo innamorato fermavasi, tosto di essere stato amante scordavasi, e perciò appellata fosse la Scala di Amore. E secondo raccontano, era quella eretta in ritonda Torre al mezzo di un magnifico Cortile in quadro, dove si univa allato alla fabbrica che cigneva il Chiostro con archi sontuosi per passare alla Scala del Coverto. Nel vestibolo vogliono che esistesse una statua di giovanetta ghirlandata di rose e fiori con colori ammirabili. Si collocava tal sembianza in una situazione, che colla sinistra stava di alto precipizio, ch’era nel mezzo della lumaca in fondo a guisa di gran pozzo, ove non potè arrivare il Sole cò suoi raggi, per dinotare, che chi si da in preda agli amori impudici, corre sovente all’orlo delle sue rovine . Ed avendo altresì il fondo del pozzo alte mura, storiate di belle dipinture, la detta Statua si vide in atto di far cenno colle mani ad un che reggea il Carro, in cui stava assisa una Donna cieca con un fanciullo ignudo e cogli occhi bendati. Così a vista di altre ricche figure, si entrava nell’ultima stanza della detta Scala: di cui chechesia, egli è certo di essersi a miei giorni conservato l’abbozzo in Roma nella Galleria del Principe Don Giulio Savelli ricavato dall’autorità del fu detto Biondi, il quale a mio talento, come dissi, ne rapporta il fantastico ragionamento, che noi tralasciamo, per tornare alla verità della storia”. ( omississ…..).

Storie di leggende e realtà, sì!

Ecco perché mi piacerebbe che le antiche mura dove vissero i nostri padri fossero riportate alla luce e rese visibili.

Per fare ciò occorrerebbe togliere  quella parte della pineta , tra l’altro piantata intorno al 1920, sempre malaticcia e di color sbiadito, proprio  perché insiste sulle  fondamenta,  sulla nuda roccia e sulle pietre che costituivano le antiche abitazioni.

Infatti, la parte in questione, fu impiantata da una ditta Toscana e nella relazione dei lavori, si metteva in evidenza l’enorme quantità di terra trasportata per poterci piantare gli alberi, terreno si dice prelevato nel vicino “Pago” di san Potito.

Inoltre sarebbe opportuno sostituire l’attuale vegetazione con  querce e faggi più adatti al territorio,  posizionate in modo da far  risaltare  l’antico borgo.

Ecco come poteva essere Celano.

E perché no?

Perché non  poter ammirare anche dall’odierna città di Celano, le mura che ci appartengono, che appartenevano ai Nostri Padri quando Celano era una Grande Contea?

Riscopriamo ed ammiriamo la Nostra Storia.

Celano li 10 Luglio 2015

Giancarlo Sociali

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